In cucina a Villa San Simone
Il budino della nonna (Amalia)
Ci sono strade, piazze, scuole, giardini pubblici intitolati a martiri, eroi, artisti, statisti, salvatori della patria. Nessuno ha mai pensato di intitolare qualcosa ai nonni ?
Nessuno ha mai calcolato il valore dei servizi sociali erogati dai nonni ai figli, ai nipoti, alle comunità in cui vivono, il loro prodotto interno lordo?
Dalle merendine di nonna papera fino allo "Stracchino di nonno Vanni", anche le ricette di cucina hanno subito una trasformazione, riscoprendo i sapori "della nonna", quelli genuini di una volta.
Nessuno ha mai calcolato il valore dei servizi sociali erogati dai nonni ai figli, ai nipoti, alle comunità in cui vivono, il loro prodotto interno lordo?
Dalle merendine di nonna papera fino allo "Stracchino di nonno Vanni", anche le ricette di cucina hanno subito una trasformazione, riscoprendo i sapori "della nonna", quelli genuini di una volta.
Quella che vi proponiamo è la ricetta del budino al cioccolato di nonna Amalia, una nonna e soprattutto una donna vera, che certo non aveva bisogno dei budini al cioccolato per conquistare l’affetto e l’eterna riconoscenza dei nipoti.
Comunque sia questa ricetta, legata indissolubilmente al suo nome, è entrata nella storia della famiglia, per rendere più dolce la vita delle generazioni future. La condividiamo volentieri, perché anche voi possiate ricordare con affetto nonna Amalia.
Comunque sia questa ricetta, legata indissolubilmente al suo nome, è entrata nella storia della famiglia, per rendere più dolce la vita delle generazioni future. La condividiamo volentieri, perché anche voi possiate ricordare con affetto nonna Amalia.
Ricetta:
-1 litro di latte intero
-100 grammi di cioccolato fondente
(non risparmiate sulla qualità del cioccolato: la nonna non approverebbe)
-100 grammi di zucchero
-100 grammi di Pan di Spagna o savoiardi
- 4 uova intere
- Una stecca di vaniglia
- Burro per ungere lo stampo
Preparazione:
Bollire il latte con una stecca di vaniglia.
Aggiungere il cioccolato grattugiato, poi lo zucchero e il Pan di Spagna.
Bollire lentamente per 10 minuti e quindi lasciar raffreddare.
Unire le uova sbattute a frittata con un pizzico di sale.
Versare il tutto nello stampo imburrato e inzuccherato.
Cuocere a bagno maria per circa 1 ora,
Servire con panna montata (per i golosi) o zabaione (per i deperiti).
In cucina a Villa San Simone
Il "rosbíffe"
"Questa voce inglese è penetrata in Italia col nome volgare di "rosbíffe", che vuoi dire bue arrosto. Un buon rosbíffe è un piatto di gran compenso in un pranzo ove predomini il genere maschile, il quale non si appaga di bricciche come le donne, ma vuol ficcare il dente in qualche cosa di sodo e di sostanzioso.“
(Pellegrino Artusi: La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene)
La ricetta del “rosbiffe” che trovate sul manuale dell’Artusi è la versione toscana (e direi italiana) di quel roast beef che nell’Ottocento le brave cuoche fiorentine preparavano nelle cucine della nobili famiglie inglesi in Toscana. Come spesso è successo il piatto, pur conservando il suo principale carattere, si è trasformato per accogliere ingredienti e condimenti tipici della nostra terra e del nostro gusto: Olio d’oliva, robusto Chianti, e spezie nostrane.
Comunque ogni cuoco ha le sue varianti e i suoi piccoli trucchi nella preparazione questo eccellente piatto: la ricetta che oggi Lidia vi propone non fa eccezione. Provatela. Piacerebbe anche al divino Pellegrino!
Roast Beef alla Toscana
Ingredienti per 6 persone:
- 1,2 Kg di carne di manzo (Melino o scamone o bicchiere della groppa)
- Un buon bicchiere di vino rosso (di corpo e grado, ma poco tanninico)
- Oolio di oliva extra vergine
- Scalogni
- Salvia, aglio, rosmarino, timo, alloro (1 foglia), ginepro (qualche grano )
- Sale e pepe
- 1 dado per il brodo
Fondamentale:
La carne deve essere buona, altrimenti non vale la pena. Tiratela fuori dal frigo almeno due ore (meglio tre) prima della cottura.
- Mettere un dito d’olio in una casseruola di alluminio pesante a bordo alto (un po’ più del pezzo di carne) e scaldare senza far fumare l’olio.
- Rosolare la carne su tutti i lati, tenendo il fuoco vivo (ma non bruciatelo), girandola spesso con due mestoli o cucchiai e facendola sigillare su ogni lato (Non forare con la forchetta Non coprire con il coperchio).
- Ridurre il fuoco, salare e pepare, unire tutti gli odori, scalogni compresi e aggiungere il vino, in più volte , rigirando la carne ogni 5 minuti.
- Non cuocere troppo !!! L’interno del roast beef deve rimanere in gran parte rosa
- Per un pezzo di 1,2 kg il tempo di cottura è di circa 40 minuti.
- Togliere dal fuoco e avvolgere in carta stagnola. Poi lasciarla riposare 10-15 minuti prima di affettare a mano la carne a fette non troppo sottili (circa 3 mm.) (Attenzione a tagliarla nel verso giusto perpendicolare alla fibra del muscolo)
- Servitela a fette nappando con la salsa e guarnendo con gli scalogni.
Il roast beef si conserva bene in frigo per qualche giorno. Si può quindi riusare, lasciando la carne a temperatura ambiente per 2 ore senza scaldarla (oppure 1 ora se affettata) e scaldando solo la salsa.
Beveteci sopra quello che resta dell’ottimo vino che il vostro rost beef si è già bevuto, e buon appetito!
Risotto con porri e pecorino a latte crudo
Oggi iniziamo la rubrica "In cucina a Villa San Simone", un appuntamento per conoscere i prodotti e l'arte culinaria di Lidia e Sandro che, nella loro residenza sulle colline che guardano Firenze e Pistoia, si dedicano con amore a coltivare le verdure, vederle crescere e cucinarle con sapienza.
Una passione molto apprezzata dagli ospiti che possono partecipare alle classi di cucina per imparare i segreti della tradizione gastronomica toscana.
Una volta al mese entreremo in cucina a Villa San Simone per raccontarvi in esclusiva la storia di un piatto speciale...
Questa, più che una ricetta, è una storia d’amore.
Lei, Lidia, dopo il matrimonio da Verona si trasferì in Toscana, con il magone e 24 pacchi di riso della Pila Vecchia (riso Vialone nano semifino delle valli veronesi).
Lui, Sandro, che in Toscana il riso lo aveva sempre e soltanto mangiato da malato (in bianco e discretamente scotto), fece buon viso a cattivo gioco. Dopotutto questa era solo una delle tante piccole differenze fra veneti e toscani, niente che un grande amore non potesse appianare. E pazienza se gli spaghetti “aglio e olio” e i “cannucciotti” al sugo latitavano a tavola.
Lei sosteneva che con un buon riso e qualsiasi cosa commestibile ti venga in mente, si possono preparare mille diversi squisiti risotti.
E non mancava di darne la dimostrazione pratica: carne, pesce, verdure, funghi, vino si ritrovavano miracolosamente abbracciati a quei piccoli e sapidi chicchi di riso, in grado di armonizzare qualsiasi gusto senza perdere quello originale: una lezione pratica e gustosissima su come, anche in cucina, l’amore possa vincere l’eterna battaglia dell’integrazione culturale.
E non mancava di darne la dimostrazione pratica: carne, pesce, verdure, funghi, vino si ritrovavano miracolosamente abbracciati a quei piccoli e sapidi chicchi di riso, in grado di armonizzare qualsiasi gusto senza perdere quello originale: una lezione pratica e gustosissima su come, anche in cucina, l’amore possa vincere l’eterna battaglia dell’integrazione culturale.
Il risotto che vi proponiamo lancia una sfida a una delle verdure più amate dalla cucina toscana, i porri, e a uno dei prodotti più tipici e pregiati della montagna pistoiese: il pecorino “a latte crudo”, il tutto in nome del patto di amore fra Veneto e Toscana.
RISOTTO CON PORRI E PECORINO A LATTE CRUDO
Per 4 persone:
- Riso Vialone nano semifino (meglio se delle valli veronesi): 400 grammi
- Pecorino a latte crudo (meglio se della montagna pistoiese): 100 grammi
- 2 porri di media dimensione (freschi, altrimenti cambiate ricetta)
- Mezzo bicchiere di latte intero
- Brodo vegetale (sedano, carota , cipolla, pomodoro): 1,5 litri
- Olio, burro, sale e pepe nero fresco
Preparate del brodo vegetale e tenetelo ben caldo sul fornello.
Per cucinare il risotto usate una casseruola larga e bassa.
Per cucinare il risotto usate una casseruola larga e bassa.
Tagliate i porri a rondelle e stufateli nella casseruola per circa 10 minuti (ma dipende dalla freschezza) con olio, un po’ di burro e poco sale.
Aggiungere il riso, mescolando a fuoco basso, in modo che possa assorbire i grassi.
Quando è ben asciutto, aggiungere un poco per volta il brodo vegetale sempre bollente e un dado per brodo classico.
Continuare a mescolare aggiungendo brodo quando necessario (senza annegare il riso, ma facendolo bollire lentamente) e anche il latte, che ammorbidirà l’intero composto.
Verso la fine cottura aggiungere un po’ di burro (a piacere) che lo renderà più morbido.
A fine cottura aggiungete un etto di pecorino fresco a latte crudo e una generosa passata di pepe macinato al momento, che aggiungeranno sapidità e bilanceranno, senza sopraffarlo, il sapore dolce del porro.
Servite in un piatto piano o leggermente concavo, decorando con scaglie di pecorino.
In cucina a Villa San Simone
Il Castagnaccio della tradizione
Una volta era forse l’unico dolce che le famiglie delle colline toscane, in particolare di Pistoia, si potevano permettere, quando le castagne e la farina “dolce” erano ancora un cibo da poveri.
Oggi costano molto di più, ma comunque è un lusso che ci possiamo ancora concedere per ritrovare l’inimitabile gusto di questa geniale creazione della cucina “povera”, che certo non vi farà rimpiangere tiramisù o panna cotta.
Oggi costano molto di più, ma comunque è un lusso che ci possiamo ancora concedere per ritrovare l’inimitabile gusto di questa geniale creazione della cucina “povera”, che certo non vi farà rimpiangere tiramisù o panna cotta.
Il castagnaccio è buono quando la farina di castagne (farina dolce) è buona. Quindi assaggiatene un pizzico cruda: deve essere dolce. Se avvertite un po’ di amarognolo, provate a rimediare aggiungendo 2 cucchiai di zucchero, ma non è la stessa cosa.
Ingredienti :
Farina di castagne (350 grammi per una teglia rettangolare di cm 25 x 35)
Olio extra vergine di oliva
Uvetta sultanina (200 grammi)
Pinoli (200 grammi)
Rosmarino
Sale fino (una presa)
Preparazione:
Mettere a mollo l’uvetta in acqua tiepida per almeno 45 minuti. Poi strizzarla leggermente e gettare l’acqua.
Accendere il forno (200 gradi)
Sciogliere la farina con acqua tiepida, aggiunta a poco a poco, girando con un mestolo di legno dentro una ciotola con bordo alto, in modo da schiacciare tutti i grumi della farina e ottenere una pastella piuttosto morbida (quando la verserete nella teglia dovrà livellarsi da sola).
Aggiungere una buona presa di sale, un cucchiaio di olio extravergine e poi tutta l’uvetta e 150 grammi dei pinoli.
Ungere con l’olio il fondo e i bordi della teglia (di alluminio con rivestimento antiaderente)
Versare la pastella nella teglia
Spargere i residui 50 grammi di pinoli sulla superficie e aggiungere ordinatamente piccoli rametti (fiocchetti) di rosmarino.
Passare un filo d’olio in modo da dividere la superficie in quadratini di circa 5 cm di lato ( la precisione geometrica non è richiesta!)
Infornare e cuocere per circa 35-40 minuti. Poi controllare spesso.
Quando tutti i bordi sono staccati dalla teglia e cominciano a brunire, il castagnaccio è cotto
Se volete renderlo più croccante in superficie, mettete il grill per un minuto o due e controllate a vista, o rischiate di incenerire il tutto!
Il castagnaccio avanzato - ma non avanza quasi mai - è buonissimo anche freddo. Comunque potete scaldarlo su una piastra non troppo calda.
I buongustai consumano il castagnaccio accompagnato da ricotta fresca di pecora.
I viziosi con panna montata.